Sul filo del
rasoio
(o forse
oltre...)
Qs è un racconto che ho scritto dopo una delle mie prime esperienze su cascata, qui trovate la relazione: Val Formazza, Cascata del Diedro.
Al bar ci hanno
detto che la prima sosta è a circa 60 metri, probabilmente non riusciremo a
raggiungerla, ma non è un problema, faremo una sosta intermedia.
Assicuro Gio in
vita, ed appena parte mette una vite. La sua progressione è sicura, senza
intoppi; quando decide di chiodare pianta bene una picca e vi si appende con
una longe.
Le difficoltà che supera non sono banali, ma Gio non dà segni di stanchezza e continua sicuro. Vedo che su uno dei puntali ha sistemato un anello di cordino rosso. Si ferma, si appende su questo cordino ed inizia ad avvitare.
Le difficoltà che supera non sono banali, ma Gio non dà segni di stanchezza e continua sicuro. Vedo che su uno dei puntali ha sistemato un anello di cordino rosso. Si ferma, si appende su questo cordino ed inizia ad avvitare.
Qualche istante
dopo il cordino si apre... il chiodo è dentro di un paio di giri... Gio non è
in equilibrio sui ramponi, mi preparo allo strattone... sudo freddo, il primo
chiodo è una decina di metri più sotto... sembra ci sia una mano che lo tiene
su... finisce di avvitare e rinvia, pericolo scampato. Il divertimento è appena
iniziato!
Il ghiaccio si
appoggia un poco, ma la corda sta per finire. Il nodo in coda a quella da 50
metri è molto vicino. Faccio qualche passo e guadagno un paio di metri, ma Gio
ha solo un chiodo e non vede la sosta. Lo avviso che fra un attimo sarà su una
corda sola. Con qualche parolaccia esprime il suo disappunto, ma un attimo dopo
riprende. Rinvia un'ultima volta e finalmente vede la sosta. Mi chiede 4-5
metri ancora, vedo il capo della corda che si avvicina verso di me, siamo al
limite anche con questa.
Non so più che
fare... devo arrampicare con il mezzo barcaiolo teso in vita, usando una
piccozza sola e nel modo più veloce possibile: Gio sta facendo un traverso su
verglass e turf...
I secondi
passano lentissimi, ho fiducia in Gio, l'ho visto salire molto bene prima, ma
la situazione non è affatto bella.
Finalmente
arriva il “molla tutto” liberatorio e tiro il fiato: due metri sotto di me c'è
il primo chiodo, il capo della corda vecchia è in alto una decina di metri e
scende verticalmente dall'ultimo rinvio prima del delicato traverso finale.
Per un attimo
mi domando cosa sarebbe successo se... non è importante, è andata bene, fra
poco toccherà a me.
Gio mi dà il
comando e parto; mi accorgo subito che qualcosa non funziona, i ramponi non
mordono bene il ghiaccio, sto salendo solo di braccia. Mi rendo conto di
arrampicare male, ma non riesco a trovare la concentrazione per farlo meglio...
dopo pochi metri sento le mani che iniziano a farmi male. Con la sinistra non riesco più a tenere
saldamente la picca e quando lancio colpisco il ghiaccio con tutto meno che con
la becca.
Ad un tratto...
sbaglio un movimento, una picca esce e vado giù.
Non so quanti
metri faccio, sicuramente di più di quelli che mi aspettavo... ricordo che Gio
aveva detto che la sosta non era affatto buona: deduco che per non sovraccaricarla
ha lasciato un po' di lasco. Un attimo dopo mi grida che devo fare il possibile
per non cadere.
Riparto, arrivo
ad un altro chiodo, ma la parete è verticale, non riesco a progredire.
Mi fermo a
riposare.
Ho davanti
delle canne d'organo di colore azzurro, le tocco, sono freddissime. Ho le mani
doloranti, non riesco più a lanciare le picche in un modo decente... se cado
un'altra volta metto a rischio la mia vita e quella di Gio.
Una voce mi
chiede chi me lo fa fare...non so cosa rispondere, o meglio evito di rispondere
dicendomi che devo pensare solo a salire!
Provo a
ripartire, faccio qualche metro e cado nuovamente, mi assale lo sconforto.
Grido a Gio che
non ce la faccio più. Grido inutile, la risposta è scontata: “Devi salire!”.
Respiro
profondamente, mi appendo e riposo. Il tempo passa inesorabile, mi calmo e
tento di recuperare la concentrazione.
Dopo qualche
minuto riparto ancora...è solo un metro...due passi, sono fuori.
Il pendio alla
mia sinistra è appoggiato, ma la corda mi tira verso destra, non ci sono più
chiodi, ora vedo anche Giovanni. Mi dice di venire su senza cadere, altrimenti…
pendolo di 10 metri ed un muro verticale con degli speroni di ghiaccio è pronto
ad accogliermi. Tutto questo nella migliore delle ipotesi, potrebbe anche
saltare la sosta... meglio non pensarci.
Faccio il
traverso ed arrivo da Gio. Non è ancora finita. Dobbiamo scendere.
Prepariamo la
discesa ed inizio la doppia, facendo il possibile per non appendermi: la sosta
è peggio di ciò che immaginavo. Una quindicina di metri sotto di noi una sosta
sicura... è fatta!
Mi autoassicuro
e blocco le corde per Gio che delicatamente mi raggiunge. In pochi minuti siamo
fuori dai guai, vicino agli zaini.
Mentre
sistemiamo il materiale ci domandiamo perché facciamo queste cose, perché ci
cacciamo nei guai... non lo sappiamo nemmeno noi!
Per il piacere
che provoca l'arrampicata, per il gesto stesso...
Oppure per la
voglia di arrivare in cima...
O ancora per lo
sprone insito in noi che ci porta a volerci migliorare continuamente per cui
scegliamo sempre cose al nostro limite o addirittura oltre come oggi.
O forse per
qualcosa di ancora meno comprensibile, che è la necessità di crearsi dei
problemi, di mettersi alla prova e ricorrere a tutto noi stessi per tentare di
uscirne portando a casa la pelle, rovinandola il meno possibile...
Non lo so, dopo
diversi anni di scalate non lo so ancora, e non so se un giorno riuscirò a
capirlo. Una cosa è certa: fra 6 o 7 giorni, meteo permettendo, saremo di nuovo
in ballo, forse non proprio sul filo del rasoio come questa volta, ma
sicuramente non molto lontani.
Brizio
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