lunedì 4 febbraio 2013

Val Formazza, il Diedro



Sul filo del rasoio
(o forse oltre...)

Qs è un racconto che ho scritto dopo una delle mie prime esperienze su cascata, qui trovate la relazione: Val Formazza, Cascata del Diedro.


Al bar ci hanno detto che la prima sosta è a circa 60 metri, probabilmente non riusciremo a raggiungerla, ma non è un problema, faremo una sosta intermedia.
Assicuro Gio in vita, ed appena parte mette una vite. La sua progressione è sicura, senza intoppi; quando decide di chiodare pianta bene una picca e vi si appende con una longe.
Le difficoltà che supera non sono banali, ma Gio non dà segni di stanchezza e continua sicuro. Vedo che su uno dei puntali ha sistemato un anello di cordino rosso. Si ferma, si appende su questo cordino ed inizia ad avvitare.

Qualche istante dopo il cordino si apre... il chiodo è dentro di un paio di giri... Gio non è in equilibrio sui ramponi, mi preparo allo strattone... sudo freddo, il primo chiodo è una decina di metri più sotto... sembra ci sia una mano che lo tiene su... finisce di avvitare e rinvia, pericolo scampato. Il divertimento è appena iniziato!

Il ghiaccio si appoggia un poco, ma la corda sta per finire. Il nodo in coda a quella da 50 metri è molto vicino. Faccio qualche passo e guadagno un paio di metri, ma Gio ha solo un chiodo e non vede la sosta. Lo avviso che fra un attimo sarà su una corda sola. Con qualche parolaccia esprime il suo disappunto, ma un attimo dopo riprende. Rinvia un'ultima volta e finalmente vede la sosta. Mi chiede 4-5 metri ancora, vedo il capo della corda che si avvicina verso di me, siamo al limite anche con questa.
Non so più che fare... devo arrampicare con il mezzo barcaiolo teso in vita, usando una piccozza sola e nel modo più veloce possibile: Gio sta facendo un traverso su verglass e turf...

I secondi passano lentissimi, ho fiducia in Gio, l'ho visto salire molto bene prima, ma la situazione non è affatto bella.

Finalmente arriva il “molla tutto” liberatorio e tiro il fiato: due metri sotto di me c'è il primo chiodo, il capo della corda vecchia è in alto una decina di metri e scende verticalmente dall'ultimo rinvio prima del delicato traverso finale.

Per un attimo mi domando cosa sarebbe successo se... non è importante, è andata bene, fra poco toccherà a me.

Gio mi dà il comando e parto; mi accorgo subito che qualcosa non funziona, i ramponi non mordono bene il ghiaccio, sto salendo solo di braccia. Mi rendo conto di arrampicare male, ma non riesco a trovare la concentrazione per farlo meglio... dopo pochi metri sento le mani che iniziano a farmi male.  Con la sinistra non riesco più a tenere saldamente la picca e quando lancio colpisco il ghiaccio con tutto meno che con la becca.

Ad un tratto... sbaglio un movimento, una picca esce e vado giù.
Non so quanti metri faccio, sicuramente di più di quelli che mi aspettavo... ricordo che Gio aveva detto che la sosta non era affatto buona: deduco che per non sovraccaricarla ha lasciato un po' di lasco. Un attimo dopo mi grida che devo fare il possibile per non cadere.

Riparto, arrivo ad un altro chiodo, ma la parete è verticale, non riesco a progredire.
Mi fermo a riposare.
Ho davanti delle canne d'organo di colore azzurro, le tocco, sono freddissime. Ho le mani doloranti, non riesco più a lanciare le picche in un modo decente... se cado un'altra volta metto a rischio la mia vita e quella di Gio.
Una voce mi chiede chi me lo fa fare...non so cosa rispondere, o meglio evito di rispondere dicendomi che devo pensare solo a salire!
Provo a ripartire, faccio qualche metro e cado nuovamente, mi assale lo sconforto.
Grido a Gio che non ce la faccio più. Grido inutile, la risposta è scontata: “Devi salire!”.

Respiro profondamente, mi appendo e riposo. Il tempo passa inesorabile, mi calmo e tento di recuperare la concentrazione.
Dopo qualche minuto riparto ancora...è solo un metro...due passi, sono fuori.

Il pendio alla mia sinistra è appoggiato, ma la corda mi tira verso destra, non ci sono più chiodi, ora vedo anche Giovanni. Mi dice di venire su senza cadere, altrimenti… pendolo di 10 metri ed un muro verticale con degli speroni di ghiaccio è pronto ad accogliermi. Tutto questo nella migliore delle ipotesi, potrebbe anche saltare la sosta... meglio non pensarci.

Faccio il traverso ed arrivo da Gio. Non è ancora finita. Dobbiamo scendere.
Prepariamo la discesa ed inizio la doppia, facendo il possibile per non appendermi: la sosta è peggio di ciò che immaginavo. Una quindicina di metri sotto di noi una sosta sicura... è fatta!

Mi autoassicuro e blocco le corde per Gio che delicatamente mi raggiunge. In pochi minuti siamo fuori dai guai, vicino agli zaini.

Mentre sistemiamo il materiale ci domandiamo perché facciamo queste cose, perché ci cacciamo nei guai... non lo sappiamo nemmeno noi!

Per il piacere che provoca l'arrampicata, per il gesto stesso...
Oppure per la voglia di arrivare in cima...
O ancora per lo sprone insito in noi che ci porta a volerci migliorare continuamente per cui scegliamo sempre cose al nostro limite o addirittura oltre come oggi.
O forse per qualcosa di ancora meno comprensibile, che è la necessità di crearsi dei problemi, di mettersi alla prova e ricorrere a tutto noi stessi per tentare di uscirne portando a casa la pelle, rovinandola il meno possibile...

Non lo so, dopo diversi anni di scalate non lo so ancora, e non so se un giorno riuscirò a capirlo. Una cosa è certa: fra 6 o 7 giorni, meteo permettendo, saremo di nuovo in ballo, forse non proprio sul filo del rasoio come questa volta, ma sicuramente non molto lontani.


Brizio

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