giovedì 14 febbraio 2013

Un San Valentino molto speciale



Il seguente racconto lo scrissi nel 2012, ma come sapete il Blog è nato in Aprile, quindi mi sembrava una buona idea pubblicarlo oggi sul blog, per chi l'avesse letto l'anno passato, invito a rileggerlo perchè ho modificato qualcosa per renderlo più comprensibile....
Domenica 14 febbraio 1988

Come può festeggiare il giorno di San Valentino un manipolo di 18enni?
Organizzando una partitella a pallone sul campo dell’oratorio, una partitella come tante, senza nessuna posta in palio, se non qualche sfottò per la squadra degli sconfitti nei giorni a venire.

Anche Brizio si schiera tra i magnifici 14 e si mette tra i pali, come di consueto.
Se già normalmente non brilla di luce propria in quella posizione, quella domenica ci capisce ancora meno, così i compagni all’inizio del 2° tempo lo “invitano” a giocare fuori, giusto per limitare al minimo i danni.

In mezzo al campo, Brizio non è che faccia molto, quantomeno fa numero e tenta di arginare le veloci incursioni degli avversari. Durante una di queste azioni, lui che è un destro naturale (non che il piede sinistro sia molto peggio, verso il basso le prestazioni si livellano ;-), si ritrova a rincorrere un avversario che scende veloce sulla fascia destra.

Passo dopo passo riesce ad affiancare l’incursore e nel momento in cui egli inizia a convergere verso il centro, Brizio decide che è il momento di interrompere quel possibile pericolo.

Mentre si trova spalla a spalla allunga la falcata, punta con decisione il piede destro affondando tutti i tacchetti nella sabbia resa dura come il cemento dalle intemperie e dalle rigide temperature invernali, carica il piede sinistro con l’intenzione di colpire con decisione la palla e mandarla fuori campo.

Ora immaginate un campo di battaglia tra gli irriducibili Galli di Asterix e Obelix contro gli invasori romani, con le loro avanzate tecniche di guerra e paragonate la gamba sinistra del malcapitato Brizio ad una catapulta romana che lancia balle di fieno infuocato al di là delle postazioni nemiche.

Nel momento di massima estensione la punta della scarpetta affonda su una cunetta che magicamente diventa il fulcro di una catapulta, che ha come braccio la gamba sinistra di Brizio e al posto di una palla  infuocata diretta verso un manipolo di Galli, si ritrova il baricentro del suddetto improvvisato incontrista che diventa egli stesso un fax simile di palla infuocata, solo che il fuoco è concentrato al centro del ginocchio ed invece delle urla dei Galli bruciacchiati si ode un solo singolo gemito, mentre una figura umana si accartoccia su se stessa (a mo di palla...) e finisce fuori dal campo...

Le successive visite e diagnosi dichiarano la frammentazione dei menischi e la parziale lacerazione del legamento crociato anteriore; il tempo porta a 3 operazioni diluite nell’arco di 16 anni, ma il Piccolo Grande Amore di Brizio, il suo amato ginocchietto sinistro è ancora lì e a distanza di 25 anni da quell’evento ancora gli consente di camminare, correre, scalare, sciare; forse potrebbe persino giocare nuovamente a pallone, ma al solo avvicinarsi di una sfera rotolante il ginocchietto manifesta un malessere (sotto forma di tremolii e interne vibrazioni) che blocca sul nascere ogni possibile idea calcistica.

Ecco a cui dedico il giorno di San Valentino, al mio ginocchio sinistro, non solo perchè pur non avendo alcuni pezzi (menischi ed LCA sono finiti in un vasetto...) risponde sempre presente, ma soprattuto perchè da un evento sgradevole è nata la possibilità che mi innamorassi della mia attuale Musa, la Montagna....
una dea che mi regala emozioni a volte indescrivibili, a volte incomprensibili, a volte estasianti, a volte dolorose, ma pur sempre Emozioni, che rendono la vita degna di essere vissuta...

Probabilmente senza quell’evento traumatico, ora sarei uno tra i milioni di seguaci del dio-pallone...
incollato alla TV a vedere ricchi ragazzotti di poco più di vent’anni che correndo dietro ad un sfera a esagoni distolgono l’attenzione dai fatti importanti che accadono nel mondo...

Invece sono uno modesto alpinista...ecco che oggi, nel giorno commercialmente dedicato agli innamorati (ma io regalerei i Baci Perugina 365 volte in un anno...se ne avessi la possibilità) regalo queste righe al mio stoico ginocchio sinistro ed alla Montagna, la dea di cui ho avuto la possibilità di innamorarmi.

Brizio

lunedì 4 febbraio 2013

Val Formazza, il Diedro



Sul filo del rasoio
(o forse oltre...)

Qs è un racconto che ho scritto dopo una delle mie prime esperienze su cascata, qui trovate la relazione: Val Formazza, Cascata del Diedro.


Al bar ci hanno detto che la prima sosta è a circa 60 metri, probabilmente non riusciremo a raggiungerla, ma non è un problema, faremo una sosta intermedia.
Assicuro Gio in vita, ed appena parte mette una vite. La sua progressione è sicura, senza intoppi; quando decide di chiodare pianta bene una picca e vi si appende con una longe.
Le difficoltà che supera non sono banali, ma Gio non dà segni di stanchezza e continua sicuro. Vedo che su uno dei puntali ha sistemato un anello di cordino rosso. Si ferma, si appende su questo cordino ed inizia ad avvitare.

Qualche istante dopo il cordino si apre... il chiodo è dentro di un paio di giri... Gio non è in equilibrio sui ramponi, mi preparo allo strattone... sudo freddo, il primo chiodo è una decina di metri più sotto... sembra ci sia una mano che lo tiene su... finisce di avvitare e rinvia, pericolo scampato. Il divertimento è appena iniziato!

Il ghiaccio si appoggia un poco, ma la corda sta per finire. Il nodo in coda a quella da 50 metri è molto vicino. Faccio qualche passo e guadagno un paio di metri, ma Gio ha solo un chiodo e non vede la sosta. Lo avviso che fra un attimo sarà su una corda sola. Con qualche parolaccia esprime il suo disappunto, ma un attimo dopo riprende. Rinvia un'ultima volta e finalmente vede la sosta. Mi chiede 4-5 metri ancora, vedo il capo della corda che si avvicina verso di me, siamo al limite anche con questa.
Non so più che fare... devo arrampicare con il mezzo barcaiolo teso in vita, usando una piccozza sola e nel modo più veloce possibile: Gio sta facendo un traverso su verglass e turf...

I secondi passano lentissimi, ho fiducia in Gio, l'ho visto salire molto bene prima, ma la situazione non è affatto bella.

Finalmente arriva il “molla tutto” liberatorio e tiro il fiato: due metri sotto di me c'è il primo chiodo, il capo della corda vecchia è in alto una decina di metri e scende verticalmente dall'ultimo rinvio prima del delicato traverso finale.

Per un attimo mi domando cosa sarebbe successo se... non è importante, è andata bene, fra poco toccherà a me.

Gio mi dà il comando e parto; mi accorgo subito che qualcosa non funziona, i ramponi non mordono bene il ghiaccio, sto salendo solo di braccia. Mi rendo conto di arrampicare male, ma non riesco a trovare la concentrazione per farlo meglio... dopo pochi metri sento le mani che iniziano a farmi male.  Con la sinistra non riesco più a tenere saldamente la picca e quando lancio colpisco il ghiaccio con tutto meno che con la becca.

Ad un tratto... sbaglio un movimento, una picca esce e vado giù.
Non so quanti metri faccio, sicuramente di più di quelli che mi aspettavo... ricordo che Gio aveva detto che la sosta non era affatto buona: deduco che per non sovraccaricarla ha lasciato un po' di lasco. Un attimo dopo mi grida che devo fare il possibile per non cadere.

Riparto, arrivo ad un altro chiodo, ma la parete è verticale, non riesco a progredire.
Mi fermo a riposare.
Ho davanti delle canne d'organo di colore azzurro, le tocco, sono freddissime. Ho le mani doloranti, non riesco più a lanciare le picche in un modo decente... se cado un'altra volta metto a rischio la mia vita e quella di Gio.
Una voce mi chiede chi me lo fa fare...non so cosa rispondere, o meglio evito di rispondere dicendomi che devo pensare solo a salire!
Provo a ripartire, faccio qualche metro e cado nuovamente, mi assale lo sconforto.
Grido a Gio che non ce la faccio più. Grido inutile, la risposta è scontata: “Devi salire!”.

Respiro profondamente, mi appendo e riposo. Il tempo passa inesorabile, mi calmo e tento di recuperare la concentrazione.
Dopo qualche minuto riparto ancora...è solo un metro...due passi, sono fuori.

Il pendio alla mia sinistra è appoggiato, ma la corda mi tira verso destra, non ci sono più chiodi, ora vedo anche Giovanni. Mi dice di venire su senza cadere, altrimenti… pendolo di 10 metri ed un muro verticale con degli speroni di ghiaccio è pronto ad accogliermi. Tutto questo nella migliore delle ipotesi, potrebbe anche saltare la sosta... meglio non pensarci.

Faccio il traverso ed arrivo da Gio. Non è ancora finita. Dobbiamo scendere.
Prepariamo la discesa ed inizio la doppia, facendo il possibile per non appendermi: la sosta è peggio di ciò che immaginavo. Una quindicina di metri sotto di noi una sosta sicura... è fatta!

Mi autoassicuro e blocco le corde per Gio che delicatamente mi raggiunge. In pochi minuti siamo fuori dai guai, vicino agli zaini.

Mentre sistemiamo il materiale ci domandiamo perché facciamo queste cose, perché ci cacciamo nei guai... non lo sappiamo nemmeno noi!

Per il piacere che provoca l'arrampicata, per il gesto stesso...
Oppure per la voglia di arrivare in cima...
O ancora per lo sprone insito in noi che ci porta a volerci migliorare continuamente per cui scegliamo sempre cose al nostro limite o addirittura oltre come oggi.
O forse per qualcosa di ancora meno comprensibile, che è la necessità di crearsi dei problemi, di mettersi alla prova e ricorrere a tutto noi stessi per tentare di uscirne portando a casa la pelle, rovinandola il meno possibile...

Non lo so, dopo diversi anni di scalate non lo so ancora, e non so se un giorno riuscirò a capirlo. Una cosa è certa: fra 6 o 7 giorni, meteo permettendo, saremo di nuovo in ballo, forse non proprio sul filo del rasoio come questa volta, ma sicuramente non molto lontani.


Brizio

Val Formazza, l'Anfiteatro

E' un po' di tempo che non pubblico post, non per malavoglia, ma perchè sto aspettando di poter migliorare qs blog facendolo diventare un sito o qcs di simile, ma dato che i tempi si stanno dilungando riprendo a mettere on line foto e articoli, qs'oggi vi propongo una serie di foto scattate Sabato 2 Febbraio sulla cascata L'Anfiteatro, di cui potete trovare una dettagliata relazione su Gulliver: Val Formazza, Chiesa, Anfiteatro ed un racconto scritto dopo una delle mie prime cascate su una cascata vicina, Il Diedro, buona lettura....

Il cielo è coperto, ma non fa troppo freddo, ci muoviamo dal parcheggio.







Avvicinamento nel bosco, sopra la pista di fondo davanti all'abitato di Chiesa



Adrian sul 1° tiro, placche appoggiate....



Adrian mi recupera a spalla alla base del primo muro


Adrian attacca il 2° tiro...


... mentre Gas ed Alex, che hanno aggirato il 1° tiro ravanando nel bosco mi raggiungono
Adrian è quasi in sosta, così il Doc può iniziare a salire
Dopo aver superato un delicato 3° tiro, recupero Adrian....

...prima di un bel, ma delicato passaggino su 1cm di ghiaccio...




Condizioni "patagoniche"...... (foto by Adrian Freire)
Nella neve fonda raggiungiamo il 2° muro (foto by Adrian Freire)
Alla fine di un ripido e faticoso, ma bellissimo muro, siamo in cima

Iniziamo la discsa che ci porterà a terra al buio... (foto by Adrian Freire)
Il "guerriero" spagnolo, sembra non aver fatto alcuna fatica... (foto by Adrian Freire)
...ma i segni di una lunga giornata finita a notte fonde ci sono tutti..... (foto by Adrian Freire)

Grazie al mio socio Adrian e agli altri 2 amici Alex e Gas e ricordatevi sempre la.... FRONTALE!!!!!!

Brizio